Claudio Cerritelli Convergenze Zagabria 1985

Con la fantasia si possono combinare elementi diversi, concepire nuove congiunzioni, costruire equilibri e romperli, insomma offrire un dinamismo formale ad oggetti di origine diversa: questi sono i luoghi d’invenzione di Carlo Marzuttini, passato dalla superficie alla terza dimensione per una maggior concentrazione fisica dell’immagine. Ora sta lavorando su congegni (sculture?) di piccole dimensioni, per lo più reperti meccanici (frammenti di carburatori , fili, pezzi di transistor) che acquistano un’aria paradossale, ironica e tutta da scoprire. C’è una energia psichica in questi “oggetti ritrovati” che è sostenuta da un esercizio paziente e analitico, un “laboratorio mentale in cui si entra per seguire da vicino il “distillato di rottami”, come Marzuttini ama definire questa sua operazione. Il filo del percorso, tra rotelle-viti-spilli-sfere, lo tiene comunque l’artista, costruttore di micro-sensi e di leggere miniature dello sguardo. Per il pubblico c’è una salvezza possibile: fare libero uso di questi aggeggi incomprensibili e, dunque, restituire all’ironia di Marzuttini il piacere soggettivo di riconoscervi qualcosa, poco importa che cosa. Un insetto meccanico, un bizzarro abitante di spazi mentali, uno speciale strumento per torturare la fantasia o semplicemente una parta sconosciuta di una macchina conosciuta. La metafora più appropriata potrebbe forse essere quella di una simulazione plastica della testa , un cervello veloce che si quantifica in varie dimensioni una sorta di ingegneria fantastica che per Marzuttini equivale ai meccanismi segreti del pensiero, senza sapere verso quale direzione condurli.

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Luciano Padovese A Villa Laura di Cerneglons Le sculture di Carlo Marzuttini 1987

Una Villa a misura d’uomo, in mezzo al verde sulla strada di paese che ancora ricorda, pur asfaltata, le curve dei campi per l’antico snodarsi a slalom, a beneficio di carrette, e cavalli, e lento procedere di buoi a traino.

Cerneglons, anche nel nome sembra un altro mondo, come ancora Villa Laura dei signori Marzuttini. Eppure «altro mondo» non solo per il permanere dell’atmosfera agricola che ancora la caratterizza: ma anche per il motivo esattemente opposto a ennesima dimostrazione che non infrequentemente gli estremi si toccano.

Perché questa Villa, ancora al centro di attività agricola, è diventata pure centro di attività artistica, ma di avanguardia, quando si pensi che le antiche sale non solo risultano tappezzate di quadri di Fontana, Sonia Delaunav, Alviani, Varisco e tanti altri autori del genere. ma anche spesso si trasformano in suggestivi spazi di esposizione per questo tipo di arte astratta.

Il massimo, tuttavia, di significatività ci sembra che Villa Laura di Cerneglons l’abbia raggiunto con l’ultima iniziativa, inaugurata il lunedì di Pasqua con una festa di giovani sui prati di casa. Si tratta, infatti, della mostra personale di sculture di Carlo Marzuttini. artista nel mentre continua ad assolvere alla sua professione di imprenditore agricolo. Un giovane di poche parole ma, evidentemente, di tanti fatti e ricchissima sensibilità.

In una collocazione suggestiva, una serie di «sculture» che risultano composizioni fantastiche con materiali che potremmo dire da scomposizione tecnologica. Materiali metallici e di plastica, pezzi di fili elettrici multicolorato e bulloni e bulloncini, e tante altre cose, per l’effetto di suscitare un sussulto di malessere in chi, come noi. ha sempre disagio di fronte alla macchina: ma, insieme, anche un sorriso di ironia, quasi per una sorta di esorcismo nei confronti del “terribile” contemporaneo che è il macchinoso. il tecnologico esasperato che sta invadendo ogni ambito.

Macchine lievi, tuttavia, al punto da essere sospese a un filo, e volteggiare ne! vuoto. Oggetti incombenti, da un lato: ma, dall’altro, anch’esse una specie nuova di farfalle; da aggiungere a quelle raccolte dal padre, ben collezionate e ordinate, ancora in bella mostra nello studio accanto, sotto i quadri di Fontana; conservate, a perpetua memoria di quella che presumiamo fosse una grande passione di entomologo.

Sintesi di passato e futuro. queste sculture di Carlo Marzuttini; armonia di terra sempre fedele, nonostante tutto, a se stessa, e di fantasia creativa; di tecnica acquisita con intelligenza e però anche di capacità critica, penetrante e, come si diceva, esorcizzante.

Non vorremmo, tuttavia, dare l’impressione che si tratti di risultati importanti, ma per certi versi solo «ideologici», «etici» quelli ottenuti da Carlo Marzuttini nelle sue sculture. Si tratta, invece, di vere e proprie «forme estetiche» che riteniamo molto importanti anche dal profilo artistico, poetico. Non sono ragionamenti puri, ma immagini intense, per tanti versi liberanti, e perciostesso poetiche.

Se. intatti, esorcizzare significa distogliere, per via ironica, dal diabolico meccanicistico, mettendone in evidenza – in certo senso – gli intestini fatti di cose tanto lievi e «ridicole» di apparire sproporzionate agli effetti che poi le macchine sanno produrre, ma anche arrischiando di ridurre a macchina addirittura il cuore della gente, come paventava già nel secolo quinto avanti Cristo il saggio cinese Dsi. Se esorcizzare significa tutto ciò. e le sculture di Marzuttini riescono fortemente a farlo, è chiaro che si tratta ili operazione culturale poetica di buona caratura. Poetica, perché è della poesia liberare, nel senso di far accendere mente e cuore in «aure» alte: un pò come volo di farfalle, cui ci si lascia vibrare. A sempiterna dimostrazione che etica ed estetica vanno a braccetto.

Forme liberanti, di grande emozione, che nella loro «mostruosità» esprimono armonie ed equilibri tutt’altro che stonate nello scenario di Villa Laura, ricca di grandi opere. Forme che piaceranno soprattutto ai giovani: come a dire un’apertura di futuro che, oltretutto, promette una nuova presenza artistica, originale, nel Friuli.

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Dalla Tv Spunta L’extraterrestre  – Anna D’Elia   La Gazzetta del Mezzogiorno Marzo 1988

La poetica dell’objet trouvée ha ispirato i surrealisti, i dadaisti, i new dada, i nouveaux realistes… ma e ricca ancora di suggestioni, basta vedere cosa riesce a costruire Carlo Marzuttini, trent’anni (di Udine) con i residuati dell’industria elettronica (valvole, transistor…). All’interno dei nostri apparecchi televisivi si cela un mondo segreto di forme e materiali, cui l’artista attinge a piene mani, ma per sovvertire le regole del gioco. Le sue macchine, modellini per astronavi o centrali post-nucleari per l’atterraggio su pianeti vergini, sono – naturalmente – macchine inutili.

La tecnologia è contaminata da prolungamenti: ali, antenne, braccia… che sollecitano l’abbinamento con uccelli extraterrestri, esseri fuoriusciti da mondi fantastici, ai quali vorremmo avere accesso. Guardando e riguardando gli “essemblages” avveniristici (proposti a Bari, dal Centrosei). è possibile entrare in possesso di quelle chiavi magiche. per volare, alla velocità degli anni luce, verso i luoghi preferiti dall’immaginario post elettronico.

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Scritture – sculture tra spazio e tempo La Gazzetta Maggio 1988 La Rubrica dell’Arte (a cura Di Giancarlo Bassotti)

E’ giunta alla sua seconda edizione la rassegna, promossa dal comune di Loreto. Assessorato alla Cultura-Centro Documentazione Permanente “Arti Visive”, intitolata “I luoghi dell’anima”. “Spazio Tempo” è il sottotitolo che è stato scelto quest’anno per presentare gli incontri di scrittura e scultura. Il critico d’arte Grazia Maria Torri ne cura la sezione dedicata agli scultori, il critico letterario Umberto Pieganti quella dedicata agli scrittori. La manifestazione si articola in tre momenti. L’inaugurazione è avvenuta sabato 7 maggio scorso, alla presenza degli scultori Bersezio, Legnaghi, Marzuttini, Stoisa, sono state presentate delle foto di Mario Giacomelli; si proseguirà il 16 maggio con lo scrittore G. Del Giudice per terminare il 25 dello stesso mese con R.Pazzi. Gli scrittori incontreranno il pubblico nella sala mostre della biblioteca comunale alle ore 18.00 di entrambe le serate. Il critico d’arte Grazia Maria Torri, presentando la manifestazione, afferma: “Dov’è lo spazio e dov’è il tempo? Coordinate quasi impossibili da stabilire in una società che ha rinunciato a Cartesio in nome dello sviluppo globale e della deriva. Ma sappiamo che le grandi civiltà, i grandi momenti della storia hanno conosciuto una percezione definita per quanto anche obliqua e non sempre ortogonale, vale a dire che hanno normalmente stabilito un valore per lo spazio ed uno per il tempo. Il mondo classico, il Medioevo, il Rinascimento e perfino il manierismo ce ne danno prova.

L’assenza di tali valori invece è diventata la regola su cui poggia la società attuale. Interroghiamo la scrittura e la scultura di oggi perché consideriamo l’arte un cardine, un perno sociale, ciò che concorre a formare la comune esperienza del reale senza la quale cultura, economia e società non sarebbero possibili”. Ed è proprio la comune esperienza del reale, filtrata dalle categorie spazio e tempo, che diventano opera d’arte, ad essere il filo logico, il motivo conduttore della mostra di sculture proposta a Loreto. Tre uomini, Bersezio, Marzuttini, Stiosa e una donna, Legnaghi, compongono questa occasionale pattuglia di poveristi e per certi .versi minimalisti.

Sgombriamo subito il campo. Queste semplici definizioni sono sicuramente riduttive riferite ad un solo codice linguistico ed hanno un valore solamente funzionale esplicativo.

ENZO BERSEZIO, come afferma Edoardo Di Mauro, è un artista inizialmente apparentato, anche per motivi generazionali, con i poveristi di cui cerca subito di eludere l’eccessivo naturalismo e di sintetizzare l’estensione delta spazialità. L’attuale svolta stilistica appare come una dichiarata volontà di costruì re architetture-immagini, che aggrediscono lo spazio circostante spezzando piani e volumi attraverso il rincorrersi di ritmiche simmetrie. Un senso di precarietà sembra avvolgere il lavoro di Bersezio. il quale oltre alla fragilità dei materiali, individua punti di appoggio che sembrano indulgere più verso una idea di instabile equilibrio piuttosto che verso costruzioni stabili e fortificate.

CARLO MARZUTTINI, costruisce veri e propri esempi di cosmogonizzazioni del molteplice reale. I suoi assemblaggi minimali ne sono un chiarissimo esempio. Le sue costruzioni, che sono verosimilmente delle macchine inutili, ora poggiano su delle solide basi, dalle quali sembrano uscire, spinte da sottili fili che uscendo dalle macchine stesse, acquistano forze centripete che si propagano verso l’esterno dando un senso di movimento; ora precipitano dall’alto verso il basso, mosse, a volte, anche da un alito di vento. Queste costruzioni offrono sfacciatamente un senso di ironia che sfiora quasi un narcisistico autocompiacimento.

LUIGI STOISA. dice Edoardo Di Mauro, è un artista che già da alcuni anni ha tralasciato le suggestioni di una facile pittura d’istinto per approdare ad una produzione sottilmente concettuale in cui talvolta è possibile intravedere un legame ereditario con l’Arte Povera, sorpassata in virtù di una attenzione maniacale per il particolare compositivo, sia che esso si restringa sia che assuma la vastità di una ampia raffigurazione spaziale.

PIERÀ LEGNAGHI. è l’unica scultrice presente a questa mostra. II suo lavoro vive tra passato e futuro, alla ricerca di forme primordiali archetipe, che trovano la loro origine nel pensiero antico e che ne preconizzano quello futuro. Il presente sembra un tempo assente dalla sua poetica, anche se lo spazio vitale che è obbligata a vivere è lo spazio dell’attualità. Ed è proprio questo gioco tra passato e futuro, che sfiora il presente, che prendono vita le sue sculture che sembrano minimali, ma solo per la loro essenzialità segni ca. Le linee e le curve vi si armonizzano fino a ribatterne i piani. I due piani intermedi che mettono il fruitore a contatto diretto con l’opera d’arte fino a volerla vedere in movimento. Le sculture di Piera Legnaghi sono vere e proprie architetture del tempo, che nel loro rapporto con lo spazio, sembrano subire un ribaltamento di significati e non solo da! punto di vista linguistico ma sopratutto da quello ideale, quasi a sfiorare una utopia della forma.

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Edoardo Di Mauro GALLERIA VSV 1988-89

Questi anni, particolarmente dal 1986 in avanti, sono stati estremamente vitali e necessari per l’inquadramento di quella che appariva come una “estetica nuova”, ma al tempo stesso il caotico sovraffollarsi di proposte ha generato un notevole tasso di confusione che era necessario diradare con una saggia pausa di riflessione. Riflessione che non è sinonimo di inattività. Il lavoro della VSV come galleria, e quello strettamente collegato mio e di Maria Grazia come critici, sul versante per noi importantissimo delle iniziative pubbliche, è stato al solito intenso.

Quello che appare evidente, ed ancora più chiaramente sarà denotabile in futuro, è uno spirito selettivo più inclemente, figlio della necessità di una chiarezza critica rigorosa.

Vengo ora ad una presentazione degli artisti inseriti in questa collettiva. Si tratta dei sei presentati nel corso della stagione ’88-’89, più altri quattro che saranno tra i primi ad esporre in quella successiva. Gli artisti che collaborano con la VSV non sono solo questi, ma la scadenza annuale di questa iniziativa impone una necessaria rotazione.

La caratteristica che accomuna questi operatori è quella già ampiamente denunciata in diversi scritti teorici.

Si tratta di una rinnovata concettualità, dì un’esigenza di riflessione sul linguaggio dell’opera e sul suo inserimento all’interno dell’incombente immaginario tecnologico e massmediale.

Per quanto concerne la tecnica, massima libertà di stili e di possibilità, all’interno di quella che, a mio parere, è una evidente “triade” rispecchiante le possibili varianti. Marco Lavagetto e Satprakash possono essere collocati all’interno di quel filone “neoastratto” particolarmente attento alla costruzione formale dell’immagine ed alla trascendenza simbolica di questa: uno stimolante connubio tra i valori classici della “grande astrazione” ed il reticolo di immagini “nuove” forniteci dalla sempre più sofisticata tecnologia del computer.

Abate, Lai, Marzuttini e Taliano appaiono impegnati in una sottile analisi che sottende alla “rifondazione possibile” del linguaggio dell’opera, alle prese con una lenta e graduale, ancorché indispensabile, mutazione genetica. Per Abate e Marzuttini il problema sembra essere quello dell’individuazione e definizione di una originale “poetica dell’assemblaggio”.

Entrambi gli artisti, con esiti tecnicamente diversi in quanto al dato prevalentemente materico, ma affini simbolicamente, ricercano la possibilità di fornire al fruitore, con l’uso di materiali inediti, il senso dell’inevitabile divenire dell’evoluzione artistica.

Lai e Taliano indagano nel campo, non ancora del tutto esplorato, della percezione, col tramite di coinvolgenti ed essenziali accostamenti cromatici.

Lodola e Kirchoff possono invece ascrivere i loro lavori in quell’ambito che amo definire “neofigurativo”.

La possibile “vitalità” di quest’antico canone espressivo non è dato dal virtuoso, ma pedestre ricalco di tematiche ritrite, bensì dalla possibilità di individuare un tramite possibile direttamente all’interno dell’iconologia contemporanea.

Enzo Bersezio e Piera Legnaghi sanno invece dimostrarci che, anche in scultura, e possibile fornire immagini nitide e razionali, estremamente aderenti alla contemporaneità, senza doversi ridurre al ruolo di epigoni di quel “neominimalismo ” che in tempi recenti ha dimostrato di avere il fiato assai grosso.

Una “pattuglia” radunata non per mero calcolo ma per indiscutibile affinità, tecnicamente assai valida e poeticamente in grado di esprimere quella che può definirsi l’immagine artistica del nostro tempo, e non è davvero cosa da poco.

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Grand Tour Vogue Gennaio 1989 Grand Tour-ltalian Georomantic

San Francisco, Museo Italoamericano, 5 gennaio – 27 febbraio; Los Angeles, The Otis Parson Institute, 7 marzo – 15 aprile; Milano, Palazzo Bagatti Valsecchi, 17 maggio -. 7 giugno; Napoli, Istituto di Cultura Francete, 15 giugno – 25 luglio; Trento, Palazzo delle Albore. 7 settembre – 8 ottobre

Mostra itinerante, dove il viaggio è anche il leitmotiv che lega i 10 artisti presentati da Maria Grazia Torri. Rivolto a un pubblico internazionale, offre una duplice attrazione: il permanere della «geometria», in linea col generale ritorno all’astrazione di questa seconda metà degli anni Ottanta e il recupero di valori «romantici» rieditati. I travellers sono: Stefano Giovanazzi, Satprakash, Giovanni Albertini, Giancarlo Neri, Mariella Spinelli, Marco Lavagetto, Piera Legnaghi, Carlo Marzuttini, Giovanni Sgarbossa e Bruno Sacchetto (per informazioni, 045-7704318.

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Grand Tour Enrico Crispolti Architectural Digest. Marzo 1989. Il Grand Tour degli italiani in America

All’insegna di “Grand Tour” Maria Grazia Torri ha organizzato un’interessante mostra circolante negli Stati Uniti e in Italia (intanto fino al 27 febbraio a San Francisco al Museo italoamericano, e dal 7 marzo al 15 aprile a Los Angeles, al The Otis Parsone Institute of Design), che propone una angolazione assai originale deIle attuali ricerche di astrazione strutturata. Merito della Torri è di aver scantonato da vacue elucubrazioni teoriche a favore di un interesse diretto per le opere.

Cosi da proporre situazioni di lavoro di notevolissimo interesse, e ciascuna connotata dalla propria individualità. A cominciare dal geometrismo strutturale fitto e di forte densità cromatica di Giovannl Albertini, o il più largo strutturare per grandi bande cromatiche di Stefano Giovanazzi. I termini di un geometrismo rigorosamente strutturato sono in effetti più ricorrenti, come anche neilavori di Marco Lavagetto, Piera Legnaghi e Giancarlo Neri; mentre altre posizioni sviluppano situazioni di ricerca affidata o a elementi meccanici. quasi personaggi (Carlo Marzuttini). o ad oggettualità araldiche (Giovanni Sgarbossa). o a gradienze strutturali regolari appena percorse da clementi di Interferenza (Satprakash). Complessivamente proposte fra loro assai diverge per intenzioni e per qualità di esiti, che aprono comunque una visione dialettica di lavori in corso nell’ambito dell’attuale egiovane ricerca non-flguratlva. La quale, se non costituisce certo l’unica possibile via, esprime una particolare rinnovata prospettiva, ove il nuovo ai può misurare nella consapevolezza di costruire non tanto pure composizioni formali, quanto sistemi strutturati di comunicazione, flessibili, relativi, non certo assoluti.

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Grand Tour Carmelo Strano Corriere della Sera Maggio 1989

Giovani artisti in viaggio tra geometria e meraviglia.

Palazzo Bagattl Valsecchi, via Santo Spirito 10. Sino ‘all’11 giugno. Orario: 9,30-12,30 9 15-19.

Satprakash. Non è una parola magica ma iI nome di un giovane artista italiano così ribattezzato dal guru Bhagwan Rajneesh.Le sue sculture metalliche “senza titolo” sono compagne di «viaggio» di opere di altri giovani autori a vario grado interessanti, fino all’apice espresso da Piera Legnani la cui fantasia plastica è solida, rigorosa, vibrante (“Velo di Maya”; “Fecondità”, non priva di richiami a Burri).

Gran Tour è il titolo della mostra ideata da Maria Grazia Torri. Questi artisti sono dei gran viaggiatori sostiene il giovane critico in catalogo (Fabbri editori); sono dei geometrici votati al meraviglioso e al romantico.

Pur consapevoli della fine delle avanguardie, credono nella -vertigine della novità- che può ancora venire da quadro e scultura per quanto tipologia consumatissima.

Questa geometria “vacanziera”, il cui valore etico ricorda talune proposizioni di Filiberto Menna, diventa spiazzamento nelle “opere civili” di Giovanni Albertini, “trompe l’oeil” ambientale nel “classico” Stefano Giovanazzi, barocco austero con la “Ferraglia” di Carlo Marzuttini, spaesamento tra optical e iperreale In Bruno Sacchetti.

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Grand Tour Francesco Bonazzi Flash At News 1989

Maria Grazia Torri associa l’esperienza di critico con l’idea di dare all’arte la dimensione del viaggio intercontinentale. Cosi il debutto di Grand Tour è il museo italo-americano di San Francisco e, dopo Los Angeles, la rassegna approderà a Milano, Napoli, Trento, per ritornare infine oltreoceano, a Toronto.

La condizione dell’artista e mutata: non e più affascinato dall’idea del genius loci. Ma è proiettato nell’idea di artista cosmopolita e quindi di un pubblico internazionale. Giovanni Albertini. Stefano Giovanazzi. Marco Lavagetto. Piera Legnaghi. Carlo Marzuttini. Giancarlo Neri. Bruno Sacchetto. Satprakash’ e Giovanni Sgarbossa non parlano più di formale ed informale, di astrazione e figurazione, bensì di una sintesi di “un’unica materia formosa dagli impulsi di un’energia differente” (Torri), un’energia simile a quella che circolava nelle Avanguardie Storiche. La pittura e la scultura, le geometrie e la vaga “fiducia neoromantica” di questi “iperartisti” è – come scrive la curatrice della mostra – “una scommessa sulla possibilità di creare nuove immagini malgrado tutte le immagini e nonostante tutte te immagini”.

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Grand Tour La Stampa 1989

Nove artisti italiani negli States

Accompagnata da un pregevole catalogo monografico della Fabbri Editore, si è aperta al Museo italoamericano di San Francisco la mostra itinerante “Grand Tour” organizzata da Maria Grazia Torri. La selezione delle composizioni richiama l’attenzione su una sorta di nuova astrazione, di momento alternativo all’arte altamente istituzionalizzata, al consueto.

L’itinerario si snoda dal rigore strutturale di Alberini alle composizioni “Ortogonale orizzontale” di Giovinazzi, da “Il giardino dei plastici” di Lavagetto alla magia delle forme di Legnagli, dai “sogni” materializzati di Marzuttini alle “superfici” finemente elaborate e regolarmente suddivise da Neri, per poi approdare alle “simulazioni” di Sacchetto, alle “montagne” di Satprakash e l’acrilico su velluto “Untitled” di Sgarbossa.

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Grand Tour Getulio Alviani L’Arca 1989

Maria Grazia Torri Reynolds, frenetica, travolgente, trainante, esibizionista… (e chi più ne ha più ne metta) art agent di un manipolo di giovanissimi o no, che ha già raccolto, aggiungendone e togliendone, altre volle sotto le bandiere di “Arditi” e “Gemito”, ora con il “Gran Tour” ne sta portando in giro dieci, grazie anche all’apporto della fabbrica di blue-jeans Lee.

Si tratta di Albertini, Giovanazzi, Lavagetto, P. Legnaghi, Marzuttini, Neri. Sacchetto, Satprakash. Sgarbossa, Spinelli, tutti accomunati dal nostalgico sottotitolo “Italian Geo Romantic”.

Dovevano partire da Trento, ma i soliti disguidi li hanno fatti arrivare senza partire e il viaggio è in effetti iniziato da dove doveva finire, quasi a ironica sottolineatura della tanto agognala utopia annullatrice nell’arte di fisiche distanze. La pretenziosissima brochure, edita da Fabbri, che li magnifIica accompagnandoli nel viaggio, dedica ben quattro pagine in full color ad ogni artista, e numerosi portrait della fascinosa Torri.

Ora sono approdati sulle dorate coste californiane, patria del divismo di buona memoria ed irresistibile meta di ogni turista che si rispetti. Quando qualcuno scompare prima o poi lo si ritrova a San Francisco, diceva già Oscar Wilde. Di fatti gli artisti turisti di “Gran Tour”, ovvero le loro opere, le abbiamo trovate tutte al museo italo-americano della città del Golden Gate, che ha aperto anche a loro le sue porte. Il viaggio è poi proseguito per Los Angeles (Otis Parsons Institute of Design) ed in seguito toccherà Milano (Palazzo Bagatti-Valsecchi) e Napoli (Istituto Francese di cultura) per poi concludersi a Trento (Museo Provinciale), che non potrà negargli almeno il bentornato. Prima di partire l’ansiosa organizzatrice ci ha detto: “E’ una mostra e un viaggio, una sintonia linguistica sulle due sponde d’oceano laddove le tendenze artistiche ormai omologate mostrano anime diverse.

Quanto succede in ltalia non è dissimile da quello che vediamo in America o in Svizzera, ma è diversa la maniera di dire, il tono, l’inflessione della voce, la pronuncia. Gli artisti di Grand Tour sono smaliziatamente ingenui, credono, a differenza dei loro colleghi americani, che il linguaggio dell’arte, quello di quando l’arte è nata, da Giotto a Raffaello, a Cellini si possa ancora usare, credono alla costante eterna di certi strumenti con cui l’arte si esprime.

Non sono tralasciate le lezioni del passalo. Ma tutte queste lezioni appaiono filtrate da un’autonomia irriducibile del linguaggio pittorico o scultoreo, una sorta di ostinazione pertinace nell’invenzione, una fiducia romantica nel genio dell’artista, una scommessa sulle possibilità di creare nuove immagini malgrado tutte le immagini e nonostante tutte le immagini.

Charles Baudelaire, di cui io non avevo ancora letto per esteso, Le arti figurative, mi ha ispirato l’idea di questo Voyage. Bisogna che dalla natura o dalla cultura si cavi ancora una volta ‘la fantasmagoria’, che i codici di cui si è riempita la memoria vengano di nuovo analizzati, armonizzati, intercettati da una percezione che e magica ‘”a forza di ingenuità”

In questo senso io sono un’ingenua, credo che l’ingenuità e la curiosità originaria, quella infantile, siano le vie che ci conducono a ritrovare l’arte. Credo anche che questi artisti turisti di Grand Tour vogliano in qualche modo cambiare la personalità dell’artista in genere. Non più il sedentario legato ai verghismi delle origini come il Genius Loci ma il viaggiatore, cosmopolita, protagonista di un attuale spirituale e materiale Voyage.

Non più l’energia meccanica o quella elettrica che tanto aveva preso i futuristi, ma l’elettronica, la smaterializzazione progressiva dei mezzi di comunicazione. Perciò l’energia di un’arte diversa come è diverso il tempo che viviamo. ”

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Grand Tour San Francisco, Los Angeles, New York, Milano, Napoli, Trento. 1990 – 91

Carlo Marzuttini gioca con microrottami. che hanno avuto in una vita precedente una precisa identità Non è certo il primo a farlo. Prima di lui Cèsar, Arman, Chamberlain. David Smith. Tinguely. Prima di lui migliaia di ingegneri elettrotecnici, saldatori, radioamatori hanno già preso in mano quei pezzi e li hanno composti insieme. Poi, come parti smembrate, prelevate dall’ex tutto-unico, ecco che questi ritagli geometrici vanno a ricomporsi in una sintesi armonica che, per un inedito effetto allusivo suggerisce, più che lo spazio, il suono. Una tale orchestrazione complessa di congegni minimi collegati l’uno all’altro da nastri di perspex. décalage tonali, fili variopinti. archetti voltaici. eliche sospese di futurista fattura, riesce a fuorviare l’attenzione del fruitore dall’opera stessa. ma a differenza delle macchine celibi o inutili o delle compressioni e accumulazioni dei succitati autori, qui si rinvia a un piano estetico “altro”, che può essere quello della musica, come ho già detto, oppure, magari, quello attuassimo dell’oggettistica di marca preziosa, introvabile, da collezionismo d’élite.

Infatti spesso in Marzuttini assistiamo a delle nozze ibride: la geometria costante di alcune forme di base si unisce al barocchismo quasi maniacale del tutto. Non a caso Louis XIV è il titolo di un opera, sintesi di elettronica e di sfarzo. Culto dell’eccesso, della comunicazione. dell’esagerazione di cui l’artista è forse il primo a essere ironicamente consapevole. Anche se “il particolare”. di cui a fa largo uso (e anche questo è un rimando romantico), rinvia ad un concreto originario, nell’effetto finale I artista agisce come il software, toglie spessore, smaterializza la forma o, sinfonicamente, astrae.

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Marla Grazia Torri Personale a Palazzo dei Diamanti Ferrara 8.12.89 – 14.1.90

Gli assemblaggi di Carlo Marzuttini comprendono materiali eterogenei, la cui provenienza ci rimanda a un mondo reale, contemporaneo, elettronico, dove assistiamo alla combinazione della mente umana e del congegno.

Ciò che è destinato a finire nella lunga o breve vita dell’ oggetto tecnologico, con lui si rifà il trucco e ricomincia a esistere e a prendere corpo in un luogo artistico snaturalizzato.

L’idea del gioco è alla base del suo atto creativo: frammenti di metalli e colori primari che devono aggregarsi come gli atomi in una molecola.

Ne escono immagini e oggetti astratti che ricordano però oggetti reali e funzionanti.

Ma chi I’ha detto che gli oggetti reali sono reali? E’ una pura convenzione basata sull’ idea di bisogno, che fa sì che gli oggetti diventino reali. Ma il nostro bisogno più reale non è forse la fantasia, cui la forma utile dà corpo, perché il bisogno sia soddisfatto?

I nostri desideri irreali o irrealizzabili sono sempre i più forti, i più difficili da soddisfare, ma forse proprio per questo i più veri e importanti. Sogni, dunque. Ma se il sogno fosse più vero della realtà? Vero – falso, realtà – immaginazione, sono le antiche opposizioni. Oggi l’elettronica è sinonimo di realtà. E nei congegni di Marzuttini I’elettronica appare anche se in realtà non esiste.

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Enzo di Grazia SI PARVA LICET…1990 Catalogo

Il senso giocoso dell’”oggetto inutile” – realizzato con piccoli materiali di recupero industriale – deriva in Marzuttini dalla frequenza di un certo nucleo, in provincia di Udine, di operatori con nuovi media, che da anni costituiscono riferimento utile ai «circuiti alternativi» della mail art e della manipolazione foto-cine-video. Nate come allestimento in loco, le sue opere si sono presto affermate in autonomia divisione, recuperando comunque il gusto poveristico dell’oggetto trovato, ma calandolo all’interno di una logica più accurata di geometrismo e di elegante manualità. Ne deriva un’interpretazione ludica che delle simili esperienze realizza lo spirito profondo, aggiungendovi l’attualità di una resa accurata e puntigliosa.

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Licio Damiani Remanzacco 14.12.91 31.12.91

Carlo Marzuttini riabilita oggetti di recupero industriale, meccanismi inutili gettati nella discarica, ridando loro dignità di personaggi. Con questi elementi costruisce oggetti, congegni meccanici con estrema serietà tecnica, con puntiglio di mestiere e compositivo. Ne escono congegni privi di una logica utilitaristica, fatti per funzionare non già secondo le leggi della fisica applicata alle tecnologie produttive, bensì secondo quelle della fantasia più bizzarra e sbrigliata, dell’invenzione ludica e giocosa.

Marzuttini, tuttavia, non si colloca sul versante storico dei dada, non è un epigono dei Duchamp, dei Picabia, degli Schwitters, sul versante dell’esibizione ironica dell’oggetto trovato, strappato al suo contesto funzionale e riabilitato quale “pseudo-valore”.

Marzuttini crea un oggetto completamente nuovo, applicandosi nel suo lavoro con una sapienza artigiana esperta e raffinatissima. solo che il suo artigianato non è “produttivo” nel senso corrente del termine. É un artigianato che produce sogni svaporanti tra le mani, così come le “figure” meccaniche create da Marzuttini sembrano dissolversi nello spazio con il filare di elementi nastriformi e iridati, che sono come ali di aquiloni.

Ancora un mito, insomma, e in Marzuttini è il mito tutto contemporaneo della macchina perfetta svuotata dall’interno e trasformata in altro, in creatura fantastica, in immagine onirica, in capriccio della creatività. Il contrasto fra la serietà minuziosa, certosina, dell’operare e l’inutilità pratica del risultato diventa, anche, allegoria surreale e scanzonata insieme di quel “brulicare di formiche bianche, nere, rosse, gialle come i giapponesi – secondo quanto scrive Carlo Sgorlon a conclusione del suo ultimo romanzo il patriarcato della luna – che non facevano se non lavorare come ossessi per costruire una nave senza destino in mezzo ai campi di mais.

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Enzo di Grazia INVICEM 1992 Catalogo

Il fascino della lezione Pop agisce alla base del lavoro degli scultori: ma, anche in questo caso, è piuttosto la versione italiana del “poverismo” a fare da piattaforma ad un uso estetico dei materiali di scarto del quotidiano, assemblati e ricondotti ad eleganza di forme in una visione più moderna ed «artistica» del poverismo.

È evidente, ciò nella forma più compiuta nelle sculture di Marzuttini, eleganti trine di filo elettrico e di lamine di metallo, ricami lievissimi di metalli e materiali diversi.

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Enzo Di Grazia Personale Pordenone 1992 (tagliato) Compagni di viaggio 1996 (estratto) Personale Cordovado 2007 (integrale)

Uno degli assi portanti – lungo tutto l’arco del nostro secolo – é stato senza dubbio il rapporto tra Arte e produzione industriale: a partire dall’idea duchampiana del ready made, attraverso una serie di “interpretazioni” più o meno chiare ed esplicite, il “prelievo” del prodotto industriale (o delle sue scorie o, semplicemente, degli scarti) ha animato larga parte della produzione artistica contemporanea, sia attraverso le derivazioni immediate sia anche con gli influssi che ha esercitato su moduli linguistici che non si servissero degli “oggetti trovati” ma che in qualche modo ad intrinseca relazione tra espressione visiva e realtà sociale facessero riferimento.

Su un versante – quello americano – il rapporto si é alimentato di un amore viscerale per le espressioni più macroscopiche della nuova civiltà, finalmente emancipata da quella del vecchio continente di cui era stata debitrice per secoli; sull’altro versante – quello europeo – la risposta é stata l’ironia finanche feroce, il “ripiegamento” (come, per altre attività, avveniva attraverso il piano Marshall e le altre diverse forme di assistenza americana all’Europa) sugli “scarti riciclati” di quella opulenza.

Da un lato, quindi, esplodeva la celebrazione del “sogno americano” attraverso l’esaltazione della vita, degli oggetti del quotidiano, dei nuovi linguaggi di comunicazione; da questa parte dell’Oceano, invece, si saccheggiavano i “bidoni della spazzatura” per accumulare, assemblare, comprimere e dislocare in chiave estetica le scorie dell’industria.

La vicenda americana ha avuto – a ben guardare – uno sviluppo limitato sia nel tempo che nella diffusione, legata com’è stata alle personalità di alcuni protagonisti che – per quanto geniali – non hanno potuto evitare di consumare in tempi rapidi alcune intuizioni basilari, condizionati anche da un totale disimpegno – sia di pensiero che di partecipazione sociale – che ha ridotto troppo spesso le proposte a puri “pretesti” formali non sostenuti da adeguato impegno culturale.

Ben diversa é stata la condizione degli operatori europei – in qualsiasi modo abbiano interpretato la lezione – comunque legati sempre ad una “necessità di impegno” che va al di là delle condizioni occasionali o delle effimere mode.

Addirittura, si é registrato che una larga messe di intuizioni prime, apparse vincenti sin dalla iniziale proposizione, si siano rivelate ancora utili, praticabili e variamente elaborabili nelle successive “riedizioni neo, post o trans”.

Il discorso tocca molto da vicino e chiarisce ampiamente la particolare vicenda dell’”arte povera” non solo nella sua accezione di tendenza definita e canonizzata ma anche in quella, ben più ampia, di condizione generale di impegno, di scelta di fondo per l’attività artistica.

A ricercarne gli antenati, si finisce per incontrare ancora Duchamp, la cui vitalità poliedrica (e spesso limitata alle pure intuizioni) é operante ancora oggi, ad onta di tanti sinistri cantori; ma, con maggiore evidenza, la Merzbau di Schwitters diventa la prima tappa di un percorso che arriva ai nostri giorni e su cui si incontrano Arman e Cesar, Tinguely e Spoerri, Manzoni e Pascali, Pistoletto e Paradiso senza contare i tanti (o troppi) che in un modo o nell’altro (per una parte o interamente; per scelta motivata o per istintiva adesione; per un breve periodo o definitivamente) hanno sul loro percorso il poverismo e ne hanno assunto, in tutto o in parte, i caratteri.

Sicché, riesce difficile accettare le distinzioni tra “dada” e “neodada”, tra “nouveau realisme” e “arte povera”, e via così attraverso sottigliezze e distinzioni spesso speciose che di volta in volta si sono ricercate per differenziare una tendenza, un gruppo o un singolo autore; e, più ancora, risulta improponibile (se non su un piano di puro utilitarismo narrativo) parlare di “neopoverismo”, per indicare una tensione comune ad una folta schiera di artisti dell’ultima generazione, che all’oggetto trovato si rivolge ancora con l’intenzione di estrarne il senso estetico o poetico.

Più logico ed opportuno risulta invece accettare l’idea di una continuità della “tensione alla poesia nelle cose” che di volta in volta viene “trovata”, “cercata” o “costruita” in relazione alla particolare temperie del momento storico.

Allo stesso modo, risultano improbabili (o almeno molto aleatorie e strumentali) le presunte “relazioni di parentela culturale” tra autori diversi e lontani nel tempo, accomunati da questo intento di ricercare nelle cose il loro senso poetico.

(solo la parte che segue è stata usata per il catalogo della personale del 1992)

A (prima vista – variante del catalogo) queste condizioni, quindi, diventa automatico ma anche semplicistico “catalogare” Carlo Marzuttini nella schiera dei “neopoveristi”, dal momento che l’uso che egli fa di materiali di scarto industriale lo riconduce certamente nell’ambito di quel genere; ma una lunga e importante serie di elementi ne consente una lettura più articolata e varia; così come l’indicazione, per la “paternità culturale” di Tinguely – per quanto gratificante – risulta limitante e parziale.

Infatti, se il tronco solido della sua struttura artistica si é alimentato della lezione del nouveau realisme e dell’arte povera, le radici prime e più profonde vanno invece ricercate nella terra natia, il Friuli, e nelle grandi emozioni che, nell’arte, ne hanno tratto i “grandi padri” (questi1 si, forse per molti aspetti riconoscibili come tali) dai Basaldella che, tra i primi in Italia, colsero le grandi suggestioni dei nuovi materiali e alle generazioni successive seppero trasmettere il gusto sensuale della manipolazione di materiali “forti” (il ferro o il legno) in sintonia con la prorompente vitalità della terra; attraverso le esperienze poetiche che stimolarono, a metà secolo, Pasolini o i fotografi friulani (da Zanier ai Borghesan) a ricercare nel quotidiano il senso della poesia; fino alla personalità incisiva di Alviani teso a cogliere, per percorsi totalmente diversi, le potenzialità espressive del metallo industriale.

Di suo, poi, Marzuttini ci aggiunge un senso quasi barocco della composizione e del colore, non limitandosi a cogliere degli oggetti le forme presenti, ma plasmandole e piegandole ad una sua allucinata visione a delle “macchine inutili” (i cui antenati oltre che in Tinguely sono anche per molti versi in Munari ed altri).

Il primo momento della sua attività é costituito dalla raccolta dei materiali metallici più disparati, dai semplici scarti di lavorazione ai più complicati macchinari dismessi o fuori uso: una particolare predilezione per i congegni elettrici ed elettronici é suggerita solo dalla tensione a realizzare, nella fase finale, architetture delicate e sottili, eleganti e slanciate, apparentemente in perenne equilibrio provvisorio.

Dalla massa spesso finanche caotica degli oggetti ricavati da ogni dove – trovati, regalati, richiesti, ricercati – e accumulati poi in funzione dell’implicito valore formale (spesso intuito o avvertito piuttosto che esplicitamente riconosciuto) Marzuttini preleva di volta in volta quelli che più opportunamente risultano adattarsi al progetto che la sua visionaria immaginazione ha suggerito.

Comincia, allora, il processo amoroso tra l’artista e i materiali che gli sono davanti (inanimati all’apparenza e per gli occhi del profano; vitali, evocativi e ricchi di suggestioni, per l’artista); e le creature nuove – sorte, come l’Araba fenice, dalle macerie delle vecchie macchine – prendono vita via via che le rondelle, i filamenti, le lamiere – tutto quello che serve a conferire corpo e spessore, eleganza e snellezza, forma e colore – si va a collocare opportunamente come in un mosaico sognato, intuito, meditato, progettato e coccolato per tutto l’arco della sua definizione.

Poi, da un serbatoio di motorino nasce una bestia aliena, tutta trampoli e collo, che si accampa nello spazio in aggressiva eleganza; una vecchia macchina per cucire si anima – rovesciata – di angelica dolcezza, di ammiccamenti ambigui, delle suggestioni di lancette e filamenti, di improbabili aeree evoluzioni.

In questa prima fase, la suggestione della ludicità dadaista sollecita la fantasia compositiva, prevale il gusto del ready made, dell’oggetto che “semplicemente é: questa é la sua forza”: la liricità che ne promana sembra non aver bisogno d’altro; e l’artista sembra seguire, docile e condiscendente, le linee che guidano la sua mano.

Su questo basilare “poverismo” si avvia la seconda fase del progetto, quella della sensibilità, in qualche modo, pittorica dello scultore, che comincia a manipolare la sua creatura, per ridurla alla sua intenzione, sia che ne esalti i valori impliciti e nascosti di cromia, di poeticità, sia che ne trasformi la struttura stessa per creare un uccello, un drago impossibile, un guardiano o sentinella del vuoto, un cannone che spara fiori contro le nuvole. (parte espunta nel catalogo)

La costante dominante é sempre e solo quella della ricerca dell’armonia conclusa attraverso i materiali, fino ai giochi cromatici più arditi che possono derivare dal semplice accostamento dei metalli diversi, dal ferro e dal rame, dall’alluminio o dalla semplice ruggine; oppure, come più di frequente avviene negli ultimi lavori, realizzandoli apposta con tecniche particolari di pittura dei metalli, a costruire lingue lunghissime e policrome su supporti a loro volta manipolati col colore fino a perdere ogni primitiva consistenza ed attestarsi alla fine alla soglia della pittura.

Ne deriva un linguaggio originale, che le esperienze vitali, della terra e della storia, del passato e del presente, riassume insieme e le proietta, tutte intere, in una dimensione nuova che sembra già futuro.

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Renato Barilli 44° Premio Michetti 1992 Francavilla al Mare

II minimalismo, tra il geometrico e l’oggettuale, pare essere anche l’approdo preferito di un trio napoletano che mi viene suggerito da quell’eccellente e informata operatrice del mondo dell’arte che è Lia Rumma. Maurizio Colantuoni ci offre la levigata, quasi intrattabile perfezione di alcuni oggetti tecnologici, compiaciuti di un totale rigore antiumanistico – prendere o lasciare – al modo degli apparati ugualmente implacabili concepiti dal tedesco Reiner Mucha. Il che vale anche per Gaetano Sgambati, le cui lamiere esibiscono i medesimi colori industriali, perfetti ma asfittici, di un G?nther F?rg: ed e davvero curiosa questa alleanza che si viene a stabilire tra napoletanità e germanesimo. Maurizio Langella si pone nel punto di passaggio dove la forte consistenza di un oggetto metallico si traduce nella modularità di tracciati grafici quasi neooptical.

A loro fa eco, da Milano, Chiara Dynys, anche lei intenta a installare elementi modulari, che però intanto si aprono auna curiosa beanza, come di bocche, pur sagomate e geometriche: come se i muri, a cui applica quei suoi elementi, consentissero varchi, sonde verso l’interno. E anche la disposizione di quelle scatole plastiche avviene rispettando le figure del caso, di una disseminazione libera e aperta; così come del resto anche i formati di questi mattoni traforati, cavi al loro interno, variano nella scala, introducendo un piacevole senso di disordine e di imprevisto.

Anche il torinese Ferruccio D’Angelo fa uso di moduli regolari e minimali al tempo stesso, di bidoni-contenitori accumulati gli uni sugli altri, con cui però egli costruisce delle colonne attraverso le quali, al di là di un certo limite, raggiunge un effetto opposto, di gonfiore informe, di monumentalità incombente.

Scatta qui, forse, un confine tra l’oggetto “hard” e quello in versione “soft”. Un buon rappresentante di un tale rovesciamento di segno potrebbe essere Carlo Marzuttini, con !e sue macchine che si compiacciono di una loro finezza pungente, ricca di aculei: come se si trattasse di aggeggi per forare, trapanare, penetrare, il che li induce anche ad assumere una colorazione chiassosa, squillante, urlata.

Potremmo collocare a questo punto della rassegna altri due protagonisti della felice scuola emiliana nata attorno alla Galleria Neon, Alessandro Pessoli e Leonardo Pivi; in effetti la distanza che li separa dai casi già trattati di Bernardi, Cuoghi e Corsello, Marisaldi (all’insegna del concettuale seriale) può apparire pretestuosa, o addirittura inesistente. Il primo dei due, Pessoli, ci offre delle “macchine da indossare”, cioè delle maschere, che per forza di cose, dovendo adattarsi alle sporgenze del volto umano, si articolano in lingue, cinture, incavi e occhielli, il tutto all’insegna di un’inevitabile flessibilità “soft”. Ne vengono degli oggetti misteriosi e intriganti che stanno tra la maschera antigas e la mordacchia dei processi medievali contro gli eretici.

Pivi, dal canto suo, ci da decisamente delle serie, di “objets trouvés”. si potrebbe dire, come se, scavando nel suolo, egli scoprisse strani tuberi a forma di teste imbalsamate; oppure ha individuato il luogo in cui qualche tribù guerriera ha

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Maria Campitelli FlashArt 1992

Carlo Marzuttini è nato a Udine nel 1956. Vive ed opera a Remanzacco (UD). Il suo lavoro si distingue da lutti gli altri perché con mille pezzi di materiali svariatissimi -frammenti di circuiti elettronici. pezzi di perpex o plexiglas, bulloni, sottili filamenti colorali – mette insieme degli oggetti, delle pseudo-macchine, dei paraingranaggi che non funzionano se non al modo consueto dell’arte. Cioè perseguono un’interna armonia, come la scansione dei colori in un quadro o la distribuzione delle forme in una scultura, perchè Marzuttini cerca la bellezza, tra i rimasugli di una tecnologia onnipresente riciclata per l’esaltazione di ogni singolo elemento, con l’aiuto di piacevoli cromie e l’appropriata collocazione di elementi complementari. Mostre personali: 1986: galleria Ponte Pietra, Verona; 1988: galleria Centrosei, Bari; 1989: galleria V.S.V., Torino; Palazzo dei Diamanti, Ferrara. Mostre collettive: 1985: Studio via Nimis. Udine: 1987: Centro Italiano di Cultura. Zagabria; 1988. Anni ’90. Loreto (AN); 1989: Grand Tour. Museo Italo Americano, San Francisco, The Otis Art Institute of Parsone, Los Angeles; Palazzo Bagatti-Valsecchi, Milano; Istituto Francese di Cultura, Napoli: Palazzo delle Albere, Trento. Hanno scritto di lui: Cerritelli, Padovese, D’Elia, Vinella, Strano. Torri. Crispolti, Alviani, De Vecchi, Brien.

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Elisabetta Luca Il Piccolo Giornale Di Trieste Mercoledì 25 Marzo 1992

Arte pseudo-tecnologica Due manifestazioni sulle sculture di Carlo Marzuttini

PERSONALE ALLA FINE ARTS ROOM E ALLA BOUTIQUE MIK MAK

Carlo Marzuttini propone in due manifestazioni complementari, alla Fine Arts Room e, rispettivamente, da giovedì 26 marzo, alla boutique Mik-Mak di via Mazzini 32, le sue sculture pseudo-tecnologiche.

Il suo operare, infatti, procede per assemblamenti di materiali eterogenei fra loro, quali bulloni, circuiti elettronici, viti, frammenti di plexiglas, elementi di carillon, tubicini, specchietti, che vanno a costituire dei marchingegni la cui funzionalità e rapportata ai soli dettami artistici. Riciclando gli scarti del mondo tecnologico, Marzuttini predilige quelli che presentano delle «affinità elettive» che lo agevolino nelle ricostituzioni di meccanismi improntati all’armonia e alla bellezza. All’amalgama unisce inoltre una giusta dose di ironia, spolverando il tutto con un gaio cromatismo che procede per abbinamento di colori complementari. E se nelle sue strumentazioni fantastiche affiora anche il grigio plumbeo degli elementi portanti, questo ben si sposa ai colori pastello o alle insinuanti vampate fluorescenti, che rivitalizzano e alleggeriscono l’insieme.

Alle sculture fanno da pendant degli studi che si proiettano in uno spazio futuribile e sereno, attestante una luminosità progettuale che viene puntualmente conservata nelle realizzazioni tridimensionali. I prodotti, godibili per detti presupposti, costituiscono inoltre occasioni per ricomporre fantasticando le irrealizzabili macchine che popolano i sogni del XX secolo.

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Elisabetta Luca Flashart 1992

La tappa triestina di Carlo Maruttini è stata scandita da Maria Campitelli in due momenti espositivi complementari e consecutivi, alla Fine Arts Room e alla Boutique Mik-Mak.

In entrambe le occasioni sono stati proposti al pubblico i curiosi marchingegni. finalizzati ad una inesperita quanto succulenta funzionalità e realizzali con residui, pedissequamente fruiti e debitamente scarlatti, provenienti dai più disparati ambiti dell’universo tecnologico.

In base a tale programma, le ricomposizioni di Marzuttini danno adito ad armoniche convivenze e fusioni fra circuiti elettronici, pezzetti di vetro, ingranaggi di carillon, schegge di plexiglas, filamenti metallici, tubicini di plastica, elementi laser, specchietti infranti, i cui moduli di funzionamento risultano accessibili solamente a chi sia provvisto di apposito vademecum fantastico-artistico.

In tal modo le maschere da pseudo-palombaro, gli strumenti giocosi polivalenti – gioie nel contempo per insoliti orologini e dentisti -. o le piccole e brillanti sculture dalla preziosa apparenza, fanno spazio, nella lucida ossatura connotata da un semiocrio cromatismo plumbeo, a lingue fluorescenti e a dettagli dalle note cromatiche shocking o dalle ludiche sfumature pastello,che si insinuano intriganti nelle nostre menti, stimolando esilarami e pirotecniche riflessioni. A tanto estro ed ironia, garbatamente incastonati in sapienti e salde strutture, fanno altresì da contrappunto degli studi per scultura, nei quali si allude a programmate proiezioni di tali strumentazioni miste in futuribili e spensierati spazi siderali.

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Color Latino 1995 Enzo Di Grazia

Quién atraviesa los paisajes sin limites de Espana, queda inevitablemente cautivado por sus colores encendidos y violentos: verde en los naranjales costeros, rojo y tierra quemada sobre la meseta, caòticamente policromo en las moles urbanas de !as grandes ciudades; cambiante, en función de las estaciones, en los montes y en los valles, bajo un cielo sin fronteras donde el azul intenso de los claros puede llegar a convivir con el plomizo de las nobes, siendo cómplice el arcoiris.

Delante de las telas de Eduardo Vega de Seoane encontramos de nuevo el colorido de España, domacio, armonizado y filtrado por el gusto prevaleciente del Abstractismo lirico-cromàtico.

Tambien los objetos que nos hacen guiños aquì y alla desde las composiciones libres, de puro color. conservan siempre la sensualidad (que es luz, sonido, casi olor) del paisaje español.

Y los fragmentos de poesia visual tienen el dulce encanto de !a lirica enconlrada por casualidad sobre el muro calcinado de una aldea perdida.

El mismo calor sensual de las cromìas anima las obras de Luz Gonzàlez de la Torre; y, en la urdimbre estructural de las composiciones. se lee un anàlogo deseo de abstraer de las cosas el valor cromàtico para sublimarlo en lirica interpretación.

Pero, lo que guìa la paleta y el pincel. parece mas una necesidad interior de disciplina, de rigurosa armonìa incluso formal, que desplaza el cuerpo pictórico hacia el Abstratismo Geomètrico continuamente violentado por la presión de la gestualidad iberadora.

La formación “metropolitana” de la pintura de Sergio Gay se presta facilmente a sostener el sabor “nocturno” de los escenarios, hecho solo de transparencias y de raiagas de luz.

Pero, también en su caso, la violencia del color -”que se respira” alrededor es un soporte indispensable del caràcter social de los temas: y favorece el acercamiento a un realismo siempre presente y continuamente encaminado a evocar sombras de alusión expresionista.

El peso de la Historia de arte es el dato mas marcado de la obra de Fausto de Marinis. italiano nacido por casualidad: en Etiopia, visceralmente enamorado del Magreb, lector agudo y apasionado del Renacimiento y de los Postimpresionistas.

En las estructuras rigurosamente calibradas de pintura clàsica se encuertran y se armonizan la imperturbabilidad del Primitivismo y el atrevìmiento de la experimentacion, el calibrado furor cromàtico y las elegantes paradas lunares.

Caballero en las lindes del continente europeo, con tres cuartos de corazór que late en Pantelleria, Carlo Marzuttini pliega el rigor nòrdico al càlido caràcter mediterraneo, dislocando los objetos “pobres” desde su función a una reinvención en puras cromìas. sumergiendo lo cotidiano en un baño de fantasia o construyendo, con las escorias de la tecnologia. un conjunto fantasmagòrico de colores y de pura lucidez.

Mas “dócil” a las necesidades del diseño, Santorossi pone brindas al espectro infinito del color en las aristas del metal: pero consigue darle al poliéster vibraciones de luz y capacidad cromàtica que no son habituales jugando, después. con los reflejos de las lamparas sobre las superficies plàsticas, la composición tridimensional y su imagen proyectada en la pared que llega a transformarse en “otra” obra siempre variable y provisional.

En. una tercera comprobación “sobre el campo”, en una lògica de continuìdad de las iniciativas comunes, las “Otras Relaciones” se revelan siempre mas dispuestas y abiertas a una profundización especifica, de técnicas a temàticas. de “escuelas” a la individualidad.

Reflexionar sobre el color ha significado, en este caso, verificar un tema ya apuntado, el del “caràcter latino” que se expresa como privilegio de las cualidades encendidas y calidas, pero, mas aùn, como amor hacia ei color en si mìsmo, al que se someten linea, objetos y contenidos.

Y es. de hecho. de gran relevancia confirmar que, desde diferentes aproximaciones o con instrumentos muy a menudo distantes, se llega a todas formas, al final, a “senalar” la inisma atmosfera de luz. de alegria, de calor mediterràneo.

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Enzo Di Grazia Personale Pordenone 1999

Trash & Trip

Cavetti colorati, ferracci arrugginiti,

giocattoli smontati, rondelle, chiodi, dadi,

bottoni scompagnati s’ammassano confusi,

rifiuti imbarazzanti del consumismo ottuso.

Talvolta un fanciullino – represso troppe volte –

stupito li percorre, seguendo una visione

ad altri incomprensibile, cercando in ogni spigolo

lo stimolo opportuno per la creatività.

Sul piano di lavoro, puliti e rilucenti,

diventano linguaggio, segnali, materiali

che cercano le forme in cui si ricompongono

per dare corpo ai sogni di un uomo senza tempo.

Con tagli e saldature, con pieghe ed incollaggi

si formula il progetto, si libera l’idea;

la luce torna vivida stendendovi colori:

si perdono del tutto gli antichi connotati.

L’artefice realizza ambienti favolosi,

li popola di vite di ludica invenzione:

s’immerge negli abissi, s’eleva all’infinito;

ci porta con la mente nei suoi viaggi d’incanto.

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Enzo Di Grazia Personale alla Roggia Ottobre 1999

Superpannello di Marzuttini esposto alla Roggia

Nei giorni scorsi il porticato posteriore del condominio Delta Majestic di viale Trieste, a Pordenone, ha leggermente mutato la sua fisionomia per l’allestimento di un coloratissimo pannello che è stato situato nel sovrapporta della sala espositiva dell’associazione culturale “La Roggia”, che vi ha sede. Come è ormai tradizione consolidata, infatti, all’apertura della stagione espositiva è stata inaugurata la personale di un artista da tempo vicino all’attività del sodalizio pordenonese, che. contemporaneamente, ha realizzato il pannello che resterà esposto per tutta l’annata. indipendentemente dalle mostre che saranno ospitate.

L’incarico di dare inizio alle attività dell’ultima stagione del ’99 è stato affidato a Carlo Marzuttini, qualificato operatore udinese che già da molti anni viene riconosciuto tra i protagonisti della ricerca visiva contemporanea per l’uso personalissimo dei materiali di scarto industriale, riciclati e traslocati in un’atmosfera più impropria e straniante com’è, appunto, quella della creatività artistica. Quasi a segnare, però, un particolare momento dell’evoluzione del suo linguaggio. Marzuttini ha realizzato il pannello in termini di pittura molto canonica,in bilico tra il fumetto (che resta, comunque, la base del suo linguaggio), la pittura pop e la cartellonistica più attuale, per cui su campiture uniformi di colore intenso si accampano, poi, animali di sapore infantile e improbabili armi-giocattolo

L’intento di rivolgersi con particolare interesse alla pittura – dopo aver vissuto una lunghissima esperienza tutta dedicata alla scultura – emerge anche da alcuni pannelli dipinti esposti nelle sale, che riprendono il tema del gioco e del materiale di scarto con efficaci e vivaci movimenti coloristici, solo in un caso interrotti dall’inserimento di materiali recuperati. All’interno, la rassegna propone due facce diverse della stessa intenzione linguistica: in una saletta sono raccolte tre fra le sculturine più canoniche di Marzuttini, vale a dire le composizioni ludiche con giocattoli distrutti dai quali emergono improbabili semoventi o fantascientifiche astronavi; sacralizzato in un angolo, riassume questo momento un personaggi tipico del fumetto giapponese, realizzato con pezzi meccanici recuperati. Ma la parte che si riferisce ai nuovi indirizzi di linguaggio (quella, cioè, che esclude totalmente il colore e recupera sic et simpliciter i frammenti metallici di scarto) appare decisamente più intrigante e in qualche modo stimolante: da un lato, infatti, un uccello rapace che brandisce tra gli artigli una bomba sembra non offrire possibilità di lettura ambigua o equivoca: dall’altro, una coda scarnificata di pescecane allude in maniera altrettanto chiara ai miti classici della letteratura e della filosofia contemporanee.

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Luisa Ariotti Installando 2001 Carmine Brescia Via delle Battaglie N° 5 B (Pallata)

Installazione d’arte di Carlo Marzuttini “La passeggiata”

Affascinato dagli oggetti che popolano il nostro universo quotidiano, Carlo Marzuttini di Udine, offre alla nostra attenzione un “censimento” dell’esistenza inanimata di tali figure, testimoni silenziose del trascorrere del tempo. Oggetti, rimasugli vecchi, antichi, in ferro, legno, plastica, vetro e quant’altro, sono gli elementi compositivi di sculture-personaggi che s’impongono alla vista pretendendo una loro identità. L’opera di Carlo Marzuttini c’interroga attraverso un gioco sottile che rimanda alla frontiera dell’avvenuto e del possibile.

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Angelo Bertani dal catalogo di “Hic et nunc” – 2003 Valvasone Ex Chiesa di San Giacomo

Carlo Marzuttini, da artista, vive di un’”economia evocativa” da raccoglitore, da bricoleur, da riciclatore di residui del terzo millennio. Scarti di strumenti elettronici ed elettrici, resti di apparecchiature meccaniche, frammenti dimenticati del nostro mondo tecnologico nelle sue opere trovano nuovi e inattesi assemblaggi, rinascono a una nuova vita, un po’ fantascientifica (da Medioevo prossimo venturo), un po’ onirica (pur con il dovuto omaggio a Duchamp, ai dadaisti e ai surrealisti tutti), ma in tal modo ci dicono con ironia di inquietudini da “progresso” che non vogliamo riconoscere.

In questa occasione Marzuttini si confronta (potremmo dire, ormai inevitabilmente) con il passato, con lacerti d’affresco che sono memoria di un’epoca tanto diversa dalla nostra. Ne scaturisce una specie di confronto dialettico: le sculture si propongono come immagini di un nuovo bestiario tecnologico, purtroppo più realistico di uno medioevale, e le figure dei santi stanno a guardare senz’altro perplesse riguardo alle nostre sorti.

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Francesca Rossi Personale di Carlo Marzuttini alla galleria Laboratorio 2 International Udine 2010

“L’ oggetto contenuto” di Carlo Marzuttini.

In una società dei consumi che mercifica tutto, la sola cosa che può fare un’artista, sempre che voglia conservare l’autonomia della propria disciplina, è di produrre opere che non siano mercificabili e che si sottraggano ai normali circuiti di consumo. Come deve rompere ogni rapporto con il mercato, così la ricerca estetica deve rompere ogni rapporto con la tecnologia della produzione industriale che fabbrica oggetti per il mercato. Ciò non significa per I’artista rompere i legami con la società, ma soltanto rifiutare di credere che l’esistenza della società si identifichi con la funzione tecnologica – industriale. Marzuttini è libero nel suo modo di fare arte dai condizionamenti della consuetudine ereditaria. Ogni scultura è composta da una sequenza di immagini di cui nessuna può considerarsi privilegiata o più significativa delle altre. Ciò che è interessante è il ritmo del prodursi, riprodursi, associarsi e mutare delle sue opere.

L’elemento essenziale della sua ricerca è il fattore “cinetico”. Questo può essere implicito nella sequenza di immagini proposte: come quando guardando un insieme coordinato di composizioni si ha l’impressione che si muovano generandosi una dall’altra, oppure come nelle sculture, possono essere i movimenti che è portato a compiere il fruitore per organizzare nella propria mente la lettura delle sequenze assemblate di congegni meccanici e non. L’artista spersonalizza i materiali dell’industria moderna e mira a mediarne la funzione estetica che dota l’osservatore di una difesa psicologica nei confronti della mistificazione continua dell’informazione visiva utilizzata come mezzo della suggestione. Può accadere che per raggiungere la collimazione totale tra supporto ed immagine, sia necessario alterare la forma originale del materiale usato. Nell’architettura plastica delle sue sculture, tutti gli interventi operativi sono potenzialmente estetici, ove di fatto non siano tali, è segno che la società ha agito male e contro il proprio reale interesse, mortificando invece che potenziare le proprie facoltà creative. La materia per l’Artista ha un’estensione ed una durata spazio – temporale. La sua disponibilità è illimitata e l’Artista manipolandola, stabilisce con essa un rapporto di continuità esistenziale e di immedesimazione. Tutto ciò che è materia è memoria che “nell’oggetto contenuto” di Marzuttini si estranea da noi ed esiste per conto proprio. Il pezzo meccanico usato è un frammento di realtà che realizza la nostra esistenza, il nostro essere nel mondo fatti di una materia duttile, plastica, impressionabile, e suscettibile di trasmutarsi e corrompersi. L’oggetto si riqualifica come tale proprio perché sottratto alla logica funzionale della macchina, non perchè rappresenta la civiltà delle macchine, ma perchè non è più in rapporto con essa. L’impiego della morfologia simbolista si basa su una connessione antropologica naturale perchè ogni segno, immagine ed oggetto che ne rappresenta un’altro è un simbolo. Esso è la manifestazione di un modo di pensare immediato e primitivo perche ha un carattere automatico. In pratica tutti noi usiamo simboli, e la stessa storia dell’umanità è tracciata da simboli che fanno parte del nostro immaginario. Gli animali sono spesso presi a soggetto nell’arte, letteratura e religione in quanto parte integrante della vita. La scultura “il drago nero” evidenzia questo concetto. Noi lo troviamo spesso guardiano di tesori nascosti dentro caverne che simboleggiano il cuore della terra, delle forze telluriche e psichiche, che è necessario conoscere per affrontarle. Il tesoro nascosto rappresenterebbe a sua volta la vita interiore per cui i draghi che lo custodiscono non sarebbero altro che le immagini dei desideri delle nostre passioni. Il “pesce-barracuda” rappresentato dall’Artista, è come il dio assiro Bel, vestito con una pelle di squame rappresenta il sapere mistico, oltre che simbolo di rigenerazione. Nelle opere di Marzuttini si evidenziano la carica emotiva e l’uso sapiente dei Materiali; egli partendo da una impostazione razionale si esprime attraverso una libertà di immagine con riferimenti surrealistici che lo collocano in una dimensione d‘arte rinnovata capace di generare oggetti impossibili eppure reali e tangibili, bizzarri e familiari. In quest’ottica sono da considerare anche i titoli dati, intenzionalmente assurdi, che son una sorta di filtro attraverso il quale egli fa passare la sua creatività, trattando le sue opere come un campo sperimentale impregnato di ironico e astraente realismo.

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Mario Berdic Personale di Carlo Marzuttini alla Galleria Dlum Aprile 2012

Maribor Slovenija

Samostojna mednarodna kiparska razstava Carla Marzuttinija Stroj in/ali Clovek je organizirana ob sodelovanju z Associazione culturale “La Roggia” iz Pordenona, pod vodstvom Giovanne Lise in Enza di Grazie, kot uspešno nadaljevanje dolgoletnega kulturnega sodelovanja. La Roggia je pomemben partner tako pri promociji italijanskih likovnikov v Sloveniji kot slovenskih v Italiji, za kar je prejela Groharjevo nagrado ZDSLU. Carlo Marzuttini se že vrsto let ukvarja z zanimivo tehniko konstruiranja nadrealisticno obcutenih kiparskih objektov iz najdenih odpadnih materialov, predvsem plastike in razlicnih kovin, ki jih med seboj bodisi zleplja, vari ali spajka, posvecujoc se hkrati raziskovanju specificnih tehnoloških postopkov in možnosti reciklaže. Pri izbiri tematike ga pogosto navdihuje ljubezen do znanstvene fantastike, predvsem pri robotom ali vesoljskim bitjem podobnih likih, ali pa nagnjenje do tehnicnih naprav, kot so motorji, avtomobili, letala, rakete ipd., pri cemer zeraj postavlja tehnološki napredek pod vprašaj. Tako ucinkujejo njegova bitja in stroji po eni strani nevarno, po drugi pa so polni humorja, a jih hkrati prežema skrivnostna atmosfera izumrlih civilizacij, ki jih je ocitno zapeljal znanstveno tehnološki napredek. Ekološko angažiran umetnik tako opozarja na katastrofalne posledice nekontrolirane industrijalizacije, ki globalno unicevalno neposredno vpliva na postindustrijsko dobo.

L’Associazione Culturale “La Roggia” di Pordenone, guidata da Giovanna Lisa e Enzo di Grazia, prosegue una proficua cooperazione culturale a lungo termine. La Roggia è anche un partner importante nella promozione di artisti italiani in Slovenia e sloveni in Italia, per cui ha ricevuto da alcune associazioni il premio Grohar. Carlo Marzuttini da molti anni è impegnato in una tecnica di progettazione di interessanti oggetti surreali scultorei ricavati da materiali di scarto trovati, in particolare materie plastiche e metalli diversi tra loro e incollati o saldati, e allo stesso tempo esplorare la tecnologia specifica e il riciclaggio. Quando seleziona i temi spesso lo muove l’amore per la fantascienza, soprattutto robot, creature simili o ambienti spaziali, o il gusto di attrezzature tecniche come i motori, le automobili, aerei, razzi, ecc.. Talvolta, mette in discussione il progresso tecnologico. Così, le sue creature e macchine hanno un effetto che, da un lato, sembra pericoloso, ma d’altro canto sono piene di umorismo; talvolta le permea anche l’atmosfera misteriosa di civiltà estinte, che a quanto pare hanno spinto il progresso scientifico e tecnologico. Ecologicamente artista è impegnato a richiamare l’attenzione sulle disastrose conseguenze di una industrializzazione incontrollata, il globale effetto diretto della distruttiva era post-industriale.

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Németh Eszter Pálóczi Zsuzsana Personale di Carlo Marzuttini a Batthyany Kastely in Kormend Ungheria Giugno 2013

Carlo Marzuttini è un uomo interessante, come i suoi lavori. E’ un po’ antiquato e poi anche futuristico. Sin da ragazzino si interessa di romanzi e films fantastici. Anche oggi va matto per la fantascienza. Questo profondo interesse rispecchiano anche i suoi lavori interessantissimi. Mentre lui è attaccato al passato, anche il futuro è importantissimo per lui in tutti i sensi, sia come fantascienza, sia nel campo della vita umana. Così ha scelto un modo alternativo per salvare la nostra amata terra e il nostro futuro comune. Unisce l’arte e la difesa dell’ambiente, due fatti base nella sua vita. Quando una volta ha visto quanta plastica, quanti rifiuti domestici produce una sola persona in una settimana, ha provato vergogna. Gli è venuta una domanda: cosa lasceremo ai nostri posteri e discendenti fra cento o duecento anni? Se noi scaviamo troviamo Pompei. Se loro scaveranno, troveranno soltanto rifiuti e un grande schifo.

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Giuseppe Raffaelli  La Realtà Dell’ Immaginario  Chiesa Di Santa Maria Dei Battuti  Cividale Del Friuli  Novembre 2013

L’arte di Carlo Marzuttini oscilla tra realtà ed immaginazione, tra memorie e respiri metafisici. L’aspetto che più colpisce della sua personalità è quel suo vivere di riflessioni e di pensieri che nascono e si svolgono attorno ai nuclei più profondi dell’essenza umana. L’artista trasfigura i materiali in funzione della loro carica di suggestione ed anche l’oggetto più insignificante assume un aspetto sacrale. Per lui ogni scheggia di materia ha un’anima e la sua abilità lo porta a costruire strutture complesse, componendo l’alfabeto delle singole parti, per ottenere un concetto compiuto.

Nascono così figure depurate dai filtri dell’esegesi. Opere originate da impulsi interiori sull’onda della creatività. Una scultura il cui fascino è dovuto alle molteplici percezioni sensoriali che accompagnano ogni apparizione che si articola nei modi di un’architettura essenziale, l’architettura del  sogno e del desiderio. Un intreccio continuo di relazioni, dove le idee trovano alimento dal cuore e dalla mente. Il visitatore che si aggira tra queste forme aggettanti entra nel mondo dell’esperienza e dell’emozione. Pezzi di metallo, di plastica, legno e vetro vengono recuperati dall’artista per costruire fantastiche composizioni: l’assurdo diviene elemento primario e la realtà satira del subconscio.

Reperti di un passato che mantengono la propria natura originaria ma acquisiscono un significato metaforico. L’immagine reale passa così in secondo piano rispetto a quella allusiva e simbolica, che rimanda ad una metamorfosi dalle valenze universali. L’occhio penetra la materia e l’abilità manuale la riporta alla luce dal buio del tempo. Nei lavori di Marzuttini si susseguono continuamente nuove situazioni plastiche e nuovi equilibri per rappresentare una concentrazione, quasi ossessiva, dell’allegoria della vita.

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